DE PROFUNDIS …

De profùndis clamàvi ad te, Dòmine;
Dòmine, exàudi vocem meam.
(Dal profondo a te grido, o Signore;
Signore, ascolta la mia voce.)

Inizia così il salmo 130 (129),
l’undicesimo del gruppo chiamato “delle salite”.

E’ una preghiera “umana” che per secoli, i cristiani hanno usato davanti ai propri cari defunti. E’ una invocazione alla misericordia di Dio al quale , come se ce ne fosse bisogno e credendolo in una forma antropomorfa, gli si ricorda che è misericordioso.
Sono parole umanissime che provano a dire un qualcosa di indicibile.
L’uomo ha iniziato più di 100.000 anni fa a seppellire i morti anche se una viva discussione è ancora accesa ora tra gli studiosi che si dividono tra chi crede che già in quel rito ci fosse una credenza in una vita futura e chi invece lo nega. A noi poco importa. Sta di fatto che andando all’indietro fino all’uomo di Neanderthal troviamo le prime sepolture rituali di ominidi.
Oggi è di uso comune e voluto anche dalla legge la sepoltura dei propri cari in quelli che vengono chiamati “cimiteri”. Dal latino tardo coemeterium, dal greco koimētḗrion ‘dormitorio, cimitero’, derivazione di koimáō ‘metto a giacere’. Meravigliosa è l’etimologia di questa parola, quasi come stesse ad indicare che la morte non ha l’ultima parola perché è soltanto un “sonno”.
Esistono di questi luoghi dove le famiglie, quelle più benestanti, hanno fatto erigere delle vere e proprie opere d’arte facendo costruire tombe famigliari. Questi cimiteri vengono chiamati appunto “monumentali” proprio perché vi si trovano dei monumenti a tutti gli effetti.
Nelle mie immagini ritraggo alcuni di questi monumenti che parlano, dicono, urlano la disperazione della perdita di una persona cara e di fronte ai quali è necessario rimanere in rispettoso silenzio.

In questo progetto artistico voglio andare toccare delle corde che sono molto delicate ovvero quelle che riguardano la morte. La domanda per eccellenza alla quale non vi è risposta è “perché il male e la morte?”. E’ una domanda che ci interpella tutti e che prima o dopo ci raggiunge. La differenza sta soltanto nel voler preparare quell’evento oppure negarlo fino al giorno in cui arriverà e ci prenderà di sorpresa. L’uomo sa di dover morire, ma non sa il come morirà e, anche se sembra impossibile, può scegliere il come morire: può subire quell’atto o può farlo diventare un momento di “luce” dove l’ultimo respiro diventa vita che rimane.
E’ un argomento molto molto delicato e di fronte al quale è necessario fare silenzio. Le immagini di questo progetto non hanno nessuna pretesa se non quella di rimanere immobili e “pensanti” di fronte al momento della morte.

“Non temiamo la morte, ma il pensiero della morte.”

LUCIO ANNEO SENECA